mercoledì 18 novembre 2009

Appelsinpiken





Due giorni fa, il 17 novembre, ho terminato di leggere La ragazza delle arance di Jostein Gaarder. E questa non è una data casuale perché proprio in questa data, nella quart'ultima pagina del libro, il protagonista risponde ad una domanda fondamentale. Sarà un caso che anche io ho teminato di leggerlo in quella data?

Ma non voglio svelare nulla. Anche perché c'è ben poco da svelare. Questo è uno dei libri più letti dal popolo di aNobii: 1600 in Italia l'hanno letto, 1000 l'hanno votato con un voto medio di 3/4 e ben 250 hanno espresso il loro dettagliato commento (clicca sull'immagine qui a fianco).


E poi ho scoperto che in Norvegia a febbraio è pure uscito un film tratto da questo libro (il trailer originale qui sotto).



A me il libro è piaciuto moltissimo. È il secondo miglior libro che abbia letto quest'anno (superato solo da In viaggio contromano di Michael Zaadorian). Quindi, come mio costume, vado a citare alcuni dei passaggi che più mi hanno colpito.
Scrisse la storia della "Ragazza delle arance" affinché la leggessi una volta che fossi grande abbastanza da poterla capire. Scrisse una lettera per il futuro.

Non credevo mi avesse notato, ma improvvisamente alzò lo sguardo dal libro che stava leggendo e mi guardò dritto negli occhi. Così mi colse con le mani nel sacco, perché capì che era da un po' che la stavo contemplando. Mi fece un sorriso pieno di calore, e quel sorriso, Georg, avrebbe potuto sciogliere il mondo intero, perché se il mondo l'avesse visto avrebbe avuto la forza di fermare tutte le guerre e tutte le inimicizie del pianeta, o almeno di interrompere per lungo tempo l'uso delle armi.

Mi viene da pensare ad un verso del poeta danese Piet hein: "Coloro che non sanno vivere ora non vivranno mai. Tu cosa fai?".

"E presto le campane annunceranno il Natale", dico. "Non è vero? Tu non puoi restare in città dopo il rintocco delle campane". A questo non risponde, mi stringe soltanto la mano, con forza e tenerezza, come se stessimo fluttuando con leggerezza per lo spazio, come se ci fossimo ubriacati di latte intergalattico e avessimo l'universo intero per noi.

Girai la cartolina. Il timbro era di Siviglia, e c'era scritto semplicemente: "Ti penso. Riesci ad aspettare ancora un po'?".

Ero eccitato, il cuore si mise a produrre in quantità eccessive delle sostanze che noi medici chiamiamo endorfine. Esiste un termine per questo stato quasi morboso di esaltazione. Si dice che il paziente è euforico. Era in questo stato che mi trovavo ora.

Certe volte nella vita dobbiamo essere capaci di sopportare la nostalgia.

Probabilmente non esiste nessuna intimità  che possa competere con due sguardi che si incontrano con fermezza e decisione e che semplicemente rifiutano di lasciar la presa.

Noi siamo questo universo, noi. Forse il nostro sviluppo non è ancora completo. Lo sviluppo fisico dell'uomo doveva ovviamente avvenire prima di quello psichico. E forse la natura fisica di questo universo è solo una cosa esteriore, il materiale necessario per l'autocomprensione del cosmo.

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