domenica 28 marzo 2010

The Lady of Shalott




On either side of the river lie
Long fields of barley and of rye,
That clothe the world and meet the sky;
And thro' the field the road run by
To many-towered Camelot;
And up and down the people go,
Gazing where the lilies blow
Round an island there below,
The island of Shalott.

A bow-shot from her bower-eaves,
He rode between the barley sheaves,
The sun came dazzling thro' the leaves,
And flamed upon the brazen greaves
Of bold Sir Lancelot.
A red-cross knight for ever kneel'd
To a lady in his shield,
That sparkled on the yellow field,
Beside remote Shalott.

She left the web, she left the loom,
She made three paces thro' the room,
She saw the water-lily bloom,
She saw the helmet and the plume,
She looked down to Camelot.
Out flew the web and floated wide;
The mirror cracked from side to side;
"The curse is come upon me," cried
The Lady of Shalott.

In the stormy east-wind straining,
The pale yellow woods were waning,
The broad stream in his banks complaining.
Heavily the low sky raining
Over towered Camelot;
Down she came and found a boat
Beneath a willow left afloat,
And round about the prow she wrote
The Lady of Shalott

Who is this? And what is here?
And in the lighted palace near
Died the sound of royal cheer;
And they crossed themselves for fear,
The Knights at Camelot;
Lancelot mused a little space
He said, "She has a lovely face;
God in his mercy lend her grace,
The Lady of Shalott."


(Loreena McKennitt, 1991)

giovedì 25 marzo 2010

Best Show




Semplicemente il più bello spettacolo a cui abbia assistito.
Ieri sera con le mie due ragazze al Mandela Forum di Firenze.
Lo aspettavo da anni, ne parlai anche qui, e finalmente me lo sono goduto.
E non ha deluso le mie aspettative.
Sono contento.

P.S. Durante lo spettacolo ogni tanto la figlia minore si dava un pizzicotto per verificare che non fosse tutto un sogno!

mercoledì 24 marzo 2010

Billo


Ieri sera all'Arsenale Billo, un film (il primo credo) italo-senegalese.



Una commedia ben riuscita che, tra un sorriso e l'altro, ci fa un po'avvicinare ai problemi degli immigrati nel nostro paese. A seguire classico dibattito di vari oratori. Quello che mi è piaciuto di più è stato il rappresentante dei senegalesi a Pisa. Quello che mi è piaciuto di meno il rappresentante di una associazione anti-razzista. La cosa bella che ho scoperto è che venerdì 2 aprile (oppure sabato 3, non ho ben capito) all'Agorà di Pisa verrà proiettato Camp de Thiaroye di Ousmane Sembène che, anche per la vicenda che narra, è diventato ormai un classico del cinema senegalese. Se sarò libero da impegni andrò a vederlo (e forse prima ci sarà anche una cena tipica senegalese).


domenica 21 marzo 2010

Susan Sarandon & Geena Davis

Ultimo film visto con LM (era il '91 all'Astra di Treviso).
Io ne rimasi incantato.
Da allora amai e cominciai a seguire Susan Sarandon.



sabato 20 marzo 2010

A 3D Exploration of Picasso's Guernica





The actual spatial immersion into a painting is a powerful way to prompt contemplation of its many facets. My project is not only a creative piece of work on its own; it stands in a larger context. It provides the unusual opportunity to view the painting from a unique perspective, revealing aspects that would normally stay hidden from the casual viewer. When we discern the original painting in this three-dimensional reproduction, we recognize which features most significantly constitute the painting. Consequently this three-dimensional exploration of Picasso's Guernica is an innovative technique for comprehending and appreciating the original masterpiece.

My primary intention for the project was to create a provoking and deep contemplation of Pablo Picasso’s Guernica. Is my model a true reconstruction of the Picasso’s painting, or is it merely a rough re-visualization? Is it still Picasso’s art or has it, through my addition of third dimension, become something completely different? It is not my place to answer those questions nor to determine the relationship between my three-dimensional reproduction and the original painting. Perhaps this is a question best left in the hands of critics.


(Lena Gieseke)

venerdì 19 marzo 2010

Kathryn Bigelow


Ieri sono andato a vedere The Hurt Locker, il film diretto da Kathryn Bigelow che ha vinto l'Oscar.
È un film ben fatto, ma, sinceramente, non mi sembra un film da Oscar.
mettiamola così: non è un film che andrei a ri-vedere.
Della Bigelow mi è piaciuto molto molto di più il suo corto Mission Zero con Uma Thurman.
Sarà che la Thurman è una delle mie attrici preferite (insieme con la Susan Sarandon, la Meryl Streep e poche altre) ?
Sarà che Uma mi è rimasta impressa in Gattaca e nei 3 film con Tarantino?

 

La qualità del video non è buona. Un video migliore si può trovare qui ma, purtroppo, non c'è synch tra video e audio :-(

giovedì 18 marzo 2010

Peter Bonzelet

Oggi, facendo colazione al bar e scorrendo il giornale locale, ho letto finalmente una bella notizia che riempe tutta la 3ª pagina del Tirreno. Quello a sinistra è Peter Bonzelet, il soldato che il 12 agosto del 1944 sparando in aria, salvò la vita a Ennio Mancini e a altri bimbi durante la strage di Sant'Anna di Stazzema dove le SS uccisero 560 persone.


Chi mi conosce un po' sa quanto io sia legato a questa strage, quanto a suo tempo abbia atteso il film di Spike Lee e quanto poi ne rimasi deluso. In un altro blog, ora chiuso, feci molti post su questo episodio e, attraverso essi, conobbi altre persone come me legate a quel posto e a quella data. Anche in questo stesso blog citai, lo scorso settembre, la scomparsa di Poldina.


Scoprire oggi che Ennio finalmente potrà conoscere il prossimo 26 marzo il nipote dell'SS che gli salvò la vita mi riempie di gioia. Ennio, come lo è stata Poldina, è la voce narrante di chi, andando a Stazzema, vuole conoscere e sapere come andarono le cose. La cosa importante che Poldina e Ennio hanno sempre continuato a fare in questi anni è ricordare per non dimenticare.



mercoledì 17 marzo 2010

Acqua





La scena iniziale di God, Construction and Destruction (di Samira Makhmalbaf), 1° episodio di 11'9''01 September 11, mi ha sempre colpito e sempre mi fa ragionare, su come l'acqua, una commodity per molti di noi, sia invece ancora un lusso per gran parte del mondo.






domenica 14 marzo 2010

Mi sento come un sasso levigato con l'acqua e il sole




Nei giorni appena passati, complice la convalescenza che mi ha bloccato a casa, mi sono letto con calma, centellinandolo pagina dopo pagina, l'ultimo bellissimo libro di Tito Barbini "I giorni del riso e della pioggia". Narra della risalita del Mekong (quasi 5000 km, più di 3 volte la lunghezza della nostra Italia) dal delta fino al Tibet, fatto dal Chatwin toscano che ormai da tre anni prediligo con il cuore e con la testa. Prima la Patagonia e l'Antartide e adesso il Mekong.



Se da piccolo, prima sulle pagine del Corriere dei Piccoli e poi come libro di testo alle medie, il mio fiume letterario è stato "Il regno sul fiume" di Enzo Demattè (e quindi il mio trevigiano Sile) adesso, con qualche anno in più sulle spalle, lo è diventatato Il Mekong, lo stesso fiume immortalato da due grandi film: "Il cacciatore" di Michael Cimino e "Apocalypse Now" di Francis Ford Coppola.

E il Mekong è per Tito una metafora della vita e delle esperienze che facciamo: il "panta rei", il "tutto scorre" dei presocratici, o, meglio, il "Nessun uomo può bagnarsi nello stesso fiume per due volte, perché né l'uomo né le acque del fiume sono gli stessi" di Eraclito. Ma nel Mekong ci si bagna due volte, prima per la pioggia e poi per il sudore.


Uno dei capitoli che più mi hanno toccato è quello intitolato "Come eravamo?" dove, quando Tito comincia a parlare di My Lai subito mi viene in mente (prima ancora che lo citi l'autore stesso) la mia vicina Sant'Anna di Stazzema.
Oggi ho preso una corriera nella notte e mi sono diretto a Hue, l'antica capitale del Vietnam, con un biglietto di andata e ritorno.
Da qui ho affittato un taxi per recarmi nel piccolo villaggio di My Lai.
Ai più questo nome non dice niente ma basta un piccolo esercizio della memoria per ricordarsi del posto in cui gli americani si macchiarono della strage più crudele e stupida della loro storia. O almeno dell'intero Novecento.
Per trovare qualcosa di analogo bisogna ritornare al genocidio degli indiani e a quell'alba sul fiume Sand Creek, quando il giovane colonnello Chivington ordinò il massacro.
I guerrieri erano a caccia del bisonte. Bambini, donne, anziani, colti nel sonno, arrossarono il fiume con il loro sangue.
A My Lai a diventare rossi del sangue di decine di inermi furono i canali delle rigogliose risaie.
Quel 16 marzo 1968 gli uomini del tenente William Calley fecero terra bruciata di tutto e tutti. Nel villaggio non vi erano vietcong né combattenti né armi, ma solo bambini, donne, anziani. Furono radunati dentro un fossato e mitragliati. Prima le donne vennero stuprate.
Quando il tenente Calley, comandante del plotone, scorse una bambina che cercava di arrampicarsi per scappare l'afferrò e la rigettò nel fossato. Poi aprì il fuoco. Per completare il tutto, per aggiungere strazio a strazio, alcuni corpi furono mutilati.
Questo gigantesco crimine fu portato all'attenzione del mondo grazie agli sforzi di un giornalista freelance, il cui lavoro di inchiesta fu poi divulgato dai grandi mezzi di informazione americani, e questo, per inciso, è anche una dimostrazione di quanto sia vitale l'indipendendenza della stampa.
Seguì un processo, in cui si dovettero ascoltare cose incredibili.
Il soldato Varnando Simpson così provò a giustificarsi:
"Non dovevi cercare la gente da uccidere, erano lì. Tagliai loro le gole, le mani, le lingue, li scotennai. Lo feci. Molti lo fecero e io feci come gli altri".
I militari fecero una pausa per il pranzo intorno a mezzogiorno poi ripresero il massacro. Alla fine oltre cinquecento persone furono trucidate.
Ancora oggi sono conservati i legni affumicati delle capanne e un piccolo museo custodisce le immagini e i numeri della strage.
E qui c'è qualcosa che mi ricorda un altro piccolo paese assai più vicino a casa mia: Sant'Anna di Stazzema.
Anche lì i massacratori arrivarono all'alba.
Anche lì oggi si trattiene la memoria di quello che accadde, senza enfasi, ma solo con la forza dei fatti, della verità.
Avevo già visto le immagini del massacro sui giornali e alla televisione ma rivederle qui mi ha profondamente scosso. Sono custodite da una memoria che chiede di non dimenticare.
Il comando dei marines cercò subito di insabbiare la storia. Colin Powell, allora maggiore, fu incaricato di stendere il rapporto che doveva consentire di archiviare tutto, negando qualsiasi massacro.
A My Lai, si disse, semplicemente erano stati uccisi centoventi soldati nemici. Un po' come la storia dei partigiani che, si diceva, durante la nostra guerra di liberazione, si nascondevano tra la popolazione civile.
Solo un anno dopo, quando tutto il mondo ormai era venuto a conoscenza del massacro, venne inviata un'indagine formale che raccolse prove sufficienti a incriminare trenta soldati americani per crimini di guerra. Fu condannato solo il tenente Calley, che peraltro restò in carcere tre giorni, poi venne messo agli arresti domiciliari e quindi liberato per interessamento personale del presidente Nixon. Ancor aoggi lo possiamo incontrare nel negozio di famiglia: una gioielleria in Texas.
Raccolgo tutte queste informazioni in questo pomeriggio a My Lai. Ci sono documenti che arrivano da tutto il mondo. Mi colpisce un piccolo libriccino di Richard Boyle, il giornalista americano freelance che venne qui di persona per indagare sul massacro:
"My Lai non fu l'azione di un solo uomo. Non fu l'azione di un plotone o di una compagnia. Fu il risultato di una campagna ordinata, pianificata e ben concepita degli alti comandi per dare una lezione agli abitanti di Quang Ngai. Per me e per la mia generazione, My Lai ha rappresentato il pugno finale in bocca, la fine delle illusioni. Non potremo più dire che non sapevamo. Il giorno in cui sapemmo di My Lai, le nostre vite cambiarono".
E io ancora oggi rifletto su tutto questo.
I presidenti americani, da Johnson a Nixon, hanno mandato contro questo popolo di minuscoli contadini un immenso stuolo di ragazzi supernutriti e superarmati. Ragazzi spinti all'uso delle armi e che, giorno dopo giorno, uccidevano anche la loro umanità.
A conclusione di un bellissimo e terribile film di Stanley Kubrick, Full Metal Jacket, i marines americani avanzano verso un orizzonte in fiamme, cantando "Topolin, Topolin viva Topolin". Eccoli ritornati bambini, terrorizzati e feroci allo stesso tempo:
"Su venite a far baldoria insieme a Topolin,
anche noi, anche voi, canterem così.
Come noi bambini, tu sei tanto piccolin,
Topolin, Topolin viva Topolin!".


Ma poi, come con gli altri suoi libri, Tito torna anche a parlare più in generale del viaggio, della condivisione, della vita.
Ho preso a viaggiare tardi nella vita, però poi non mi sono più fermato.
...
È sempre possibile ricominciare di nuovo, magari, questa volta, rimettendo la propria persona, nel suo significato più profondo, al centro della propria vita.
E poco importa se il tempo che mi rimane è di gran lunga più corto di quello trascorso.
...
Domani arrivo alla frontiera tra la Thailandia e la Birmania. Il viaggio sta rivelandosi ogni giorno più coinvolgente. Mi sento bene. Questo viaggio lungo il fiume mi sta donando due cose: da una parte sorprese e scoperte che nornalmente avrei ignorato; dall'altra tutte le parti di me stesso che altrimenti avrei perso. Viaggio alla ricerca di me stesso perché non potrei fare altrimenti. Ma allo stesso tempo in assenza di me stesso, e naturalmente nel trovare l'uno comprendo l'altro. Così si stanno dipanando i miei sogni, le mie passioni, le mie delusioni. Prendo appunti su un'agendina e quando mi fermo la sera vado a cercarmi un internet point, tanto ormai ci sono nei più sperduti angoli del mondo.
...
Così, in questo stesso istante, ho compreso che il segreto sta nel rivolgersi sempre meno al passato e al futuro e vivere piuttosto il presente. Piuttosto l'idea della circolarità del tempo si riaffaccia ancora nella mia testa.
Il tempo come un cerchio. Ma anche il cerchio attorno al quale i nostri antenati si riunivano per raccontare.
E questo è importante. Non basta vivere una storia, un'avventura, una passione, se poi non possiamo raccontarla a qualcuno o anche solo a noi stessi.
...
In una tasca dello zaino avevo nascosto un foglio con un proverbio malgascio. Lascio ai suoi versi l'ultima pagina di questo straordinario viaggio:
"Sette strade partono dall'albero della vita.
La prima non è la strada dell'uomo,
la seconda non è mai stata tracciata,
la terza si perde tra le nebbie del fiume,
la quarta è del tutto vietata,
la quinta non porta da nessuna parte,
la sesta forse inizia ma non finisce,
e la settima nessuno sa se esista.
Eppure, figlio, ti dico: se sei un uomo, prendi il bastone e parti
".
Ora è quasi mezzogiorno, lo vedo dalle ombre corte delle persone e degli oggetti che mi stanno attorno.
Penso però che non sono solo le ombre ad essere più corte. Anche il tempo che ho davanti, per quanto mi sarà concesso, è più corto rispetto al tempo già trascorso. Al mio tempo.
E guardo avanti, guardo come si guarda un fiume che semplicemente scorre, come ha sempre fatto.
Guardo senza pensieri e senza presunzioni.
Con meno ansia di quando sono partito, senza chiedermi a che punto è il fiume, dove e come arriverà al mare.


Sostanzialmente la letteratura di Tito è ben descritta da questo suo stesso passo
... letteratura di viaggio che peraltro mi soddisfa solo quando non è solo una specie di giornale di bordo, quando non si esaurisce nella cronaca, nel resoconto, ma semmai restituisce una consapevolezza nuova e più autentica su se stessi e il mondo.


Tito ad un certo punto parla delle zanzare e scrive
La navigazione è stata spossante, segnata da un caldo terrificante che pareva volever trasformare in sudore ogni forma di vita. Ma a funestarla sono stati soprattutto i nugoli di zanzare, in quantità e dimensioni tali che non credo di aver mai visto qualcosa del genere. Nugoli compatti come legioni in assetto di guerra.
...
Contro di loro ho ingaggiato una guerra senza quartiere, provando ad attrezzare difese solo apparentemente adeguate. Il repellente l'ho spalmato sin sopra i vestiti.
Non c'è stato nulla da fare. I maledetti insetti hanno travolto alla svelta ogni resistenza, con un fare simile all'incedere trionfale degli elicotteri americani di Apocalypse Now, quando appaiono al suomo della Cavalcata delle Valchirie.
Mi chiedo se Titto abbia mai provato le zanzare finlandesi nei mille laghi di quella parte della Scandinavia tra giugno e luglio. Quando lo farà vorrò leggere i suoi appunti.


Questo post è illustrato con alcune delle 1000 figurine del Corriere dei Piccoli del 1969 relative ai topos citati nel libro (cursore sulla figurina per leggerne il titolo).

giovedì 11 marzo 2010

mercoledì 10 marzo 2010

Il cavallo di Troia

Durante la prima telefonata che le feci, si era all'inizio dell'estate scorsa, me ne parlò ZiaCassie. Non era facile da trovare. E forse ero anche poco motivato. Finché con la scusa della convalescenza a seguito dell'operazione di sabato scorso mi sono deciso: l'ho cercato su ebay, l'ho acquistato, mi è arrivato venerdì scorso e ieri ho terminato di leggerlo.



Scritto nel '38 da Morley e tradotto da Pavese nel '41.
È una rivisitazione della guerra di Troia ai giorni nostri.
E tra i vari personaggi ho trovato anche Zia Cassie, cioè Cassandra, figlia di Priamo, radicale e pacifista.
Ecuba: Cassie, su, smettila! Se ti accorgi che stai per avere una crisi, cerca di dominarti. non ai ricevimenti, almeno. Lord Pandaro, ci siamo proprio divertiti.

Cassandra ritorna in sè; e ora che i vecchi se ne sono andati, ecco una uova mandata di bevande e di discussioni su quel che bisognerà fare per divertirsi.
«Con Cassandra è inutile giocare agli indovinelli,» dice Enea; «lei sa già prima tutte le risposte.» «Si potrebbe giocare alle Sardine,» dice Deifobo (con l'occhio su Antigone), «purchè Cassandra faccia lei il morto.» «Giusto,» dice Elena (cui il gioco non dispiace), «così se anche diventa chiaroveggente, non importa. Saremo noi a darle la caccia.» Si fissano le norme: si spegneranno le luci, Cassandra ha due minuti per nascondersi, e tutti gli altri dovranno cercarla al buio...

[pagina 107]
«Con rispetto, è a questo che voglio venire,» continua Ettore. «Devo chiedervi se non è possibile porre dei limiti alla propaganda pacifista di Cassandra. Per assurda che possa sembrarci, finisce per avere un pessimo effetto sul nostro morale.»

[pagina 134]
Cassandra:
Sii felice, per loro.
Per lui Cressidra è stata la saggezza.
Gli diede la sua gioia più assoluta:
gl'insegnò come morda il desiderio
e come vinca, gl'insegnò il sorriso
necessario, il sorriso e la risata;
inconscia gl'insegnò a stringere il mondo
come l'amante la sua donna. Questa
la bontà e la visione in cui vinciamo.

[pagina 200]

L'edizione che ho acquistato è del '67 (allora 350 lire) ed è il n° 102 di una collana Garzanti in cui, tra gli altri, ho notato
n° 1, William Faulkner, La paga del soldato
n° 53, John Steinbeck, Pian della Tortilla
n° 57, Karen Blixen, La mia Africa
n° 59, Fred Hoyle, La nuvola nera
n° 75, Hermann Melville, Moby Dick
n° 81, Frank Kafka, La metamorfosi
n° 101, Curzio Malaparte, La pelle
Sono io che sto invecchiando? Oppure è vero che adesso non si pubblicano più simili opere in una collana tascabile? Ma esistono ancora le collane tascabili? Ma cosa legge la gente adesso?

Il maggior difetto di questo tomo è a sua età. Dopo 47 anni la colla della rilegatura è praticamente scomparsa e una volta aperto a 180 gradi le singole pagine hanno cominciato a staccarsi dal dorso...

martedì 9 marzo 2010

La mia generazione ha perso






La razza in estinzione


Non mi piace la finta allegria
non sopporto neanche le cene in compagnia
e coi giovani sono intransigente
di certe mode, canzoni e trasgressioni
non me ne frega niente.
E sono anche un po' annoiato
da chi ci fa la morale
ed esalta come sacra la vita coniugale
e poi ci sono i gay che han tutte le ragioni
ma io non riesco a tollerare
le loro esibizioni.

Non mi piace chi è troppo solidale
e fa il professionista del sociale
ma chi specula su chi è malato
su disabili, tossici e anziani
è un vero criminale.
Ma non vedo più nessuno che s'incazza
fra tutti gli assuefatti della nuova razza
e chi si inventa un bel partito
per il nostro bene
sembra proprio destinato
a diventare un buffone.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
le strade, le piazze gremite
di gente appassionata
sicura di ridare un senso alla propria vita
ma ormai son tutte cose del secolo scorso
la mia generazione ha perso.

Non mi piace la troppa informazione
odio anche i giornali e la televisione
la cultura per le masse è un'idiozia
la fila coi panini davanti ai musei
mi fa malinconia.
E la tecnologia ci porterà lontano
ma non c'è più nessuno che sappia l'italiano
c'è di buono che la scuola
si aggiorna con urgenza
e con tutti i nuovi quiz
ci garantisce l'ignoranza.

Non mi piace nessuna ideologia
non faccio neanche il tifo per la democrazia
di gente che ha da dire ce n'è tanta
la qualità non è richiesta
è il numero che conta.
E anche il mio paese mi piace sempre meno
non credo più all'ingegno del popolo italiano
dove ogni intellettuale fa opinione
ma se lo guardi bene
è il solito coglione.

Ma forse sono io che faccio parte
di una razza
in estinzione.

La mia generazione ha visto
migliaia di ragazzi pronti a tutto
che stavano cercando
magari con un po' di presunzione
di cambiare il mondo
possiamo raccontarlo ai figli
senza alcun rimorso
ma la mia generazione ha perso.

Non mi piace il mercato globale
che è il paradiso di ogni multinazionale
e un domani state pur tranquilli
ci saranno sempre più poveri e più ricchi
ma tutti più imbecilli.
E immagino un futuro
senza alcun rimedio
una specie di massa
senza più un individuo
e vedo il nostro stato
che è pavido e impotente
è sempre più allo sfascio
e non gliene frega niente
e vedo anche una Chiesa
che incalza più che mai
io vorrei che sprofondasse
con tutti i Papi e i Giubilei.

Ma questa è un'astrazione
è un'idea di chi appartiene
a una razza
in estinzione.

lunedì 8 marzo 2010

Una donna





Una donna fasciata in un abito elegante
una donna che custodisce il bello
una donna felice di essere serpente
una donna infelice di essere questo e quello.

Una donna che a dispetto degli uomini
diffida di quelle cose bianche
che sono le stelle e le lune
una donna cui non piace la fedeltà del cane.

Una donna nuova, appena nata
antica e dignitosa come una regina
una donna sicura e temuta
una donna volgare come una padrona.

Una donna così sospirata
una donna che nasconde tutto
nel suo incomprensibile interno
e che invece è uno spirito chiaro come il giorno.

Una donna, una donna, una donna.

Una donna talmente normale
che rischia di sembrare originale
uno strano animale, debole e forte
in armonia con tutto anche con la morte.

Una donna così generosa
una donna che sa accendere il fuoco
che sa fare l’amore
e che vuole un uomo concreto come un sognatore.

Una donna, una donna, una donna.

Una donna che resiste tenace
una donna diversa e sempre uguale
una donna eterna che crede nella specie
una donna che si ostina ad essere immortale.

Una donna che non conosce
quella stupida emozione
più o meno vanitosa
una donna che nei salotti non fa la spiritosa.

E se questo bisogno maledetto
lasciasse in pace i suoi desideri
e se non le facessero più effetto
i finti amori dei corteggiatori
allora ci sarebbero gli uomini
e un mondo di donne talmente belle
da non avere bisogno
di affezionarsi alla menzogna del nostro sogno.

Una donna, una donna, una donna.
Una donna, una donna, una donna.


venerdì 5 marzo 2010

Andando nella Città del Sale


Una decina di giorni fa ho acquistato, per la prima volta nella mia vita, due quadri.
Direttamente dall'autore.
Ero emozionato.
Lo scorso week-end, per economizzare, invece di passare da un corniciaio sono andato alla OBI e ho preso due cornici semplici ed economiche e domenica ho piantato un paio di chiodi e li ho appesi sulle ancora intonse pareti di casa mia.
Il primo, intitolato Andando (ma che io ho ribattezzato Carnevale), l'ho appeso in sala sopra il divano.
Il secondo, intitolato Città del Sale (dedicato a Tuzla e, in turco, Tuz significa sale), l'ho messo in camera da letto.
Poi ho aspettato la reazione delle fanciulle.
Che non è stata delle migliori.
"Ma babbo, scusa, l'autore è un tuo amico?"
"Sì, perché?"
"Non te l'avere a male, e non dirlo al tuo amico, ma quadri così siamo capaci di farli anche noi. Prendiamo dei colori e pasticciamo sulla carta."
"Ma quale dei due vi piace di più?"
"Quello della camera, è più regolare. Questo qui è solo un ammasso di colori."
"Invece a me, adesso che li guardo meglio, piace di più questo Carnevale, con i coriandoli e i palloncini scoppiati e le stelle filanti."
"Sì, ma allora quadri così li facciamo anche noi e poi li vendiamo e diventiamo ricche..."
Mi sono tornati in mente le impressioni di quando vidi per la prima volta alcune opere di Paul Klee a Firenze. Mi sembravano schizzi disegnati da un bimbo delle elementari.

Questi due quadri invece mi piacciono veramente tanto.
Per vederli bene venite a trovarmi o, se non potete farlo, cliccate sopra le immagini per vederli  un po' più grandi.








martedì 2 marzo 2010

It was a hot wind called a Santana




In un qualche universo parallelo io sono un astronomo che fa surf.
Clicca sulla foto sopra.




In the old days, I remember a wind...that would blow through the canyons.
It was a hot wind called a Santana and it carried the smell...of warm places.
It blew the strongest before dawn across the Point.
We would sleep in our cars...and the smell of the wind would wake us. And each morning, we knew this would be a special day.