martedì 22 febbraio 2011

A Sanremo un uso pubblico della storia

Mi ha molto stupito il commento di Alberto Mario Banti all’intervento di Roberto Benigni al festival di Sanremo. Non che Banti non dica cose vere e condivisibili dal punto di vista storiografico, specialista qual è del nostro Risorgimento. Sarebbero state appropriate se Benigni fosse andato in una scuola o in un’aula universitaria a spiegare le guerre d’indipendenza e a fare l’esegesi di Fratelli d’Italia. Benigni ha, invece, utilizzato la tribuna (e che tribuna) del Festival per quello che gli storici chiamano da tempo «uso pubblico della storia». Ha cioè parlato della nostra storia nazionale e dei suoi luoghi della memoria, non per raccontarcela o spiegarcela (cosa che non gli compete e che non credo abbia avuto la presunzione di fare), ma per stigmatizzare il presente, lo stato agonico del paese, le spinte centrifughe della Lega e, soprattutto, per invitare gli italiani a svegliarsi, usando la nostra storia nazionale (nella quale, certo, ci sono tante cadute e infamie) come argomento. Lo ha fatto in modo intelligente, brillante e geniale come, quando gli riesce, sa fare solo lui (chi non ricorda la lezione sulla razza in La vita è bella?). Lo ha fatto con l’appello al risveglio del popolo, con le forzature allusive alla minore età di Mameli e l’esplicita lezione (questa sì) di sintassi a Bossi e ai suoi accoliti.
Di «lezione di storia» hanno parlato giornalisti e commentatori, certo non Benigni, che si è presentato dicendo di voler fare solo l’esegesi del nostro inno. Quella che può competere a un attore, un comico, un artista, che quando è grande (e lui lo è) è anche, con buona pace del dott. Forbice, anche un intellettuale. Capace cioè di radiografare quello che alberga nell’intestino di un paese e dimostrare al pubblico la lastra, illustrandola con i mezzi espressivi di cui dispone e che sono propri del suo ruolo. Solo collocando l’intervento di Benigni in un contesto diverso da quello in cui effettivamente si è svolto, acquisterebbero significato le osservazioni di Banti, che vi ha voluto vedere la manifestazione di un risorgente neo-nazionalismo, dimentico dell’internazionalismo, del pacifismo, dell’europeismo e del solidarismo proprio della cultura democratica.
Contrario come sono a ogni rivendicazione identitaria (a partire da quella nazionale), ho trovato di grande efficacia la performance di Benigni. E mi hanno fatto riflettere anche le osservazioni di Banti. Ripeto, pertinenti, ma dalla mira sbagliata. Oggi è la nostra democrazia che traballa, ma quando il mondo ci deride, è il nostro paese e i suoi abitanti, cioè gli italiani, ad essere derisi, non il nostro sistema politico. E ho trovato che l’appello di Benigni al risveglio degli italiani nel nome dell’Italia fosse indirizzato a mondare la nostra democrazia.

Alfonso Botti
Docente di Storia contemporanea
Facoltà di Lettere e filosofia
Università di Modena e Reggio Emilia

Nessun commento:

Posta un commento