domenica 27 febbraio 2011

Paesaggio Costituzione Cemento



Due sono, probabilmente, gli storici dell’arte più noti di oggi: il primo è Vittorio Sgarbi, il secondo è Salvatore Settis – e si tenga amente quest’affrettata antinomia, tornerà utile in seguito. Quasi si trovassero al vertice di due piramidi contrapposte, questi due volti possono apparirci come i rappresentanti, nel settore, di due Italie distinte: la prima, edonistica, gridata, che impone la sua presenza attraverso l’uso della retorica e dello strepito mediatico; la seconda, proba, autorevole, che racchiude il senso del suo lavoro nella serietà professionale, che crede nella ricerca, che ha ben chiare le radici della sua identità.
Settis ha ormai abituato i suoi lettori al tema della difesa dei beni culturali e ambientali. Paesaggio Costituzione Cemento La battaglia per l’ambiente contro il degrado civile (Einaudi «Passaggi», pp. 326, € 19,00), in perfetta continuità con i precedenti Italia SpA (2002) e Battaglie senza eroi (2005), è, prima di tutto, una denuncia della cementificazione che opprime il paesaggio italiano, delle devastazioni anche recenti della speculazione edilizia e dell’abusivismo. Lo slogan «padroni in casa propria», l’allarmante espansione degli immobili, a fronte di una scarsa crescita demografica, i ‘Piani casa’ governativi inducono lo studioso a verificare i fondamenti giuridici di tali aggressioni. Settis è uno dei pochi rimasti, fra uomini di cultura e politici, a vedere ancora nella Costituzione un punto di riferimento per il futuro della nazione e a insorgere quando la si vede minacciata. E, come dovrebbe esser noto, la tutela del paesaggio è uno dei suoi principi fondamentali: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione», recita l’articolo 9. Questo punto avanzatissimo della nostra Costituzione viene posto in linea di continuità con i precedenti disegni di legge – i più importanti recano i nomi di Rosadi (1909), Croce (1922) e Bottai (1939) –, ma l’origine della cultura giuridica in materia di tutela del paesaggio vien fatta risalire agli ordinamenti preunitari, ai provvedimenti civici medievali e sopratutto al diritto romano. È la publica utilitas che strappa dalle mani del singolo la proprietà del paesaggio o del monumento storico per consegnarla alla cittadinanza.
Seguendo il filo della nostra storia legislativa, si scopre come tale principio sia stato ostacolato dall’intricata vicenda delle competenze. La separazione giuridica di ‘paesaggio’ e ‘urbanistica’, la tutela del primo – spettante alMinistero dell’Istruzione – e della seconda, al Ministero dei Lavori Pubblici, è ad esempio il presupposto degli scempi compiuti dalla prima ondata di selvaggia industrializzazione e urbanizzazione, tra gli anni cinquanta e ottanta, nelle periferie e nelle campagne del Bel Paese. Oil conflitto fra Stato e Regioni (previste nel 1948 ma istituite nel 1970): poiché la legislazione non chiariva a chi spettasse la tutela del paesaggio, esso è stato di fatto abbandonato dall’uno e dalle altre. Nel mentre, la spinta devoluzionista della Lega Nord innesca nel legislatore la tendenza a favorire le Regioni rispetto allo Stato, in contrasto però con alcune sentenze della Corte Costituzionale, che invece sanciscono la superiorità del parere dello Stato (cioè delle Soprintendenze) in materia di tutela. Così si arriva al Codice dei beni culturali e del paesaggio, meglio noto come Codice Urbani, alla cui stesura (2004-2008, governi Berlusconi I e II e Prodi II) ha contribuito in parte lo stesso Settis. Alle Regioni spetta oggi la progettazione di piani territoriali (già previsto da Bottai e dalla legge Galasso del 1985) che mirino alla valorizzazione del territorio, alle Soprintendenze statali la tutela. Ma, sebbene le due istituzioni siano chiamate a collaborare, nessuna Regione ha mai stilato un Piano territoriale (unica eccezione: la Sardegna di Soru) e le Soprintendenze versano in un completo stato di crisi, ridotte dal governo a puri organi burocratici, senza turnover, mentre dovrebbero essere ancora le fucine delle nuove generazioni di addetti alla gestione del patrimonio.
Come tutti i discorsi autorevoli, anche questo di Settis presta realmente il fianco solo a quelle critiche che partono da fondamenta e studi altrettanto autorevoli. Da ‘destra’, invece, Settis viene facilmente accusato di conservatorismo, di opporsi alle istanze dell’economia italiana, che, come è noto, non può fare a meno del ‘mattone’ – e non per una mentalità arcaica, ma per il riciclaggio del denaro sporco! Altri potrebbero invece sentenziare che il limite estetico, con il postmodernismo, si è talmente spostato in avanti che, se i versi di Pasolini davano valore letterario al ‘paesaggio’ delle borgate e oggi i romanzi di Siti a quello delle periferie, sta accadendo, mutatis mutandis, quello stesso processo di estetizzazione – artificiale, come sempre – che, dal vedutismo a Ruskin, ha reso icastico il paesaggio italiano. Maargomentare su una di queste o altre strade, potrebbe sviarci dal centro del problema. La sostanza del discorso di Settis, che nelle pagine finali si mostra fiducioso verso l’associazionismo (Italia Nostra, Fai, etc.), le possibili iniziative di ‘azione popolare’ e di networking fra cittadini contro il degrado del paesaggio, rischia infatti di cadere, ancora una volta, nel vuoto. Settis, in breve, è solo, perché solo è stato lasciato dalla classe dirigente italiana. Una classe dirigente che, da almeno mezzo secolo, è tutt’uno con palazzinari, costruttori di autostrade, villette a schiera, hotel litoranei a cinque stelle e mafiosi che vincono appalti, non può che esser sedotta dal modello culturale ‘sgarbiano’, poiché l’ha anche creato a sua immagine – se non addirittura commissionato. Se di democrazia si può ancora parlare, oltre che con i cittadini, Settis dovrebbe dialogare, su questo tema, anche con quella minima fetta di classe dirigente che si fonda sui suoi stessi valori, sempre ammesso che ancora esista. Con chi, dai vendoliani ai democratici, è stato finora incapace di proporre un investimento nella più grande risorsa economica del paese. Che andrebbe chiaramente condotto coniugando tutela e proventi, senza la tipica vergogna di ‘sinistra’ di sentirsi ‘materialisti’, quando si parla di beni culturali. Lo scandalo è insomma che un’intera classe dirigente, priva di memoria storica e soprattutto di mentalità imprenditoriale, sposi la linea liberista nella gestione del patrimonio. Che si traduce nella programmata svendita del patrimonio (su questi temi si concentrava maggiormente Italia SpA), finalizzata a rimpinguare le disastrate casse statali, come unica e incontrastata politica dei beni culturali – e dell’avventatezza di questo atteggiamento ora si è anche accorto il duo di influenti giornalisti ‘tremontiani’ Stella- Rizzo con il nuovo, probabile bestseller Vandali, per Rizzoli.
Si arriva perciò a un classico nodo della cultura italiana: il rapporto fra intellettuali e potere. Nell’Italia di oggi, in cui sembra esserci posto solo per chi si addomestica al linguaggio mediatico in voga, Settis, in queste condizioni, non può che risultare confinato in posizione ‘marginale’: ovvero di faro della tutela che però, senza un contesto politico rispondente, rischia di non scalfire il corso degli eventi, nonostante il prestigio accademico e una visibilità mediatica garantita dalla Einaudi, da Repubblica, e ora da Che tempo che fa. Mentre il suo avversario seduce e convince l’italiano e il politico medio, con il suo modello culturale vincente, bilioso e ridanciano.

(Claudio Gulli)
 

Salvatore Settis è il padre adottivo di una compagna di asilo di mia figlia, così sono stato (alcuni anni fa) a casa sua in occasione di una festa di compleanno e ho avuto modo di conoscerlo. Quando lavoravo in centro lo vedevo spesso alla mattina tornare verso casa con un fascio di quotidiani sotto braccio. È stato uno dei migliori direttori della Normale. Famosi i suoi Venerdì del direttore dove invitatava i migliori intellettuali italiani a confrontarsi con la scuola e la cittadinanza (ricordo Saviano, Rossi Monti, Rodotà e altri, quasi tutti disponibili in streaming)

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