sabato 31 ottobre 2015

Una giornata a Lucca Comics



Ieri, stipato come una sardina sul regionale Pisa-Aulla, sono arrivato a Lucca Comics poco prima delle 09:00 e dopo una coda di meno di un minuto in biglietteria ho acquistato il mio pass per i vari stand. Ne ho visitato solo alcuni dedicati ai fumetti, nessuno dei giochi. In compenso ho visto molte mostre. Alcune erano poco interessanti, come quella di Bonvi. Altre mi hanno preso di più, come quella di Kopinski, l'autore del manifesto di quest'anno. Altre mi sono decisamente piaciute, come quella di Luzzati, di Tatarnikau e di McGuire. Una, quella di Sandoval, mi ha ispirato un acquisto di un libro: Il cadavere e il sofà. Da quella di Tuono Pettinato ho rubato la playlist NeverMind da cui il brano finale di questo post.













venerdì 30 ottobre 2015

Lecca anche te il culo al mandante!



Oggi ho visto questa locandina esposta in varie edicole di Pisa e Lucca.
Poi tornato a casa ho letto questo e ho capito.
Naturalmente il PD continua invece a difendere De Luca e le sue esternazioni.
Così va il mondo.
Anzi così va il partito che dovrebbe essere l'erede della Sinistra.
Che pena...

giovedì 29 ottobre 2015

Autunno di oggi

Alberi gocciolanti dopo la pioggia, rade foglie gialle appese, tronchi neri, tappeto di foglie arancioni cadute, nuvoloni grigi scuri incombenti, raggi di sole che saettano tra gli alberi, sprazzi di cielo azzurro, umidità trasformata in nebbiolina soffice e cangiante. Questo è l'autunno di oggi.

martedì 27 ottobre 2015

domenica 25 ottobre 2015

Il passato fagocitato



Percorrere l'intero lido di Jesolo è come attraversare in macchina la Germania: non finisce mai. Ho letto su vikipedia che è lungo 15 km. Per i pisani è come tre volte la distanza tra Marina di Pisa e Tirrenia. E la spiaggia è tutta (tutta!) circondata da 4-5 file di alberghi paralleli al mare.



Un capo di questa lunga passeggiata è segnato dal faro. E prima del faro c'era una volta una zona libera da alberghi, con tanto verde e un singolo isolato ristorantino ("Al faro" era il suo nome) dove per due estati alla fine del liceo ho lavorato come cameriere per raccogliere un po' di soldi per aiutare i miei. Ieri pomeriggio ho cercato quel ristorante ma non esiste più. Tutta l'area, compresa la strada che portava al faro, è diventata un enorme campeggio che ha fagocitato il mio passato. Mi rimane solo una foto dell'interno del ristorante di molti anni fa. Era molto caratteristico. Qui si riconosce una barca (dentro la sala del ristorante) che era usata per la preparazione delle insalate.



Ho cercato senza successo altri luoghi topici legati al mio passato. Un esempio è la villetta senza televisione dove risiedavamo con i miei nel luglio del '69. Ricordo che ci fermammo lungo la strada in un bar dotato di televisione per vedere le immagini di Armstrong che scendeva sulla luna. Mi rendo conto adesso che quell'avvenimento fu per me molto importante, uno spartiacque, ben più significativo dell'attacco alle torri gemelle del settembre 2001.

Non ho ritrovato il ristorante Al Faro, però la mia memoria olfattiva è stata sollecitata da un profumo che non sentivo più da tantissimo tempo. Nel bed & breakfast dove ho alloggiato la biancheria odorava del profumo del sapone che si usava nei treni delle Ferrovie dello Stato nel '77. E c'è chi afferma che gli umani stanno perdendo il senso dell'olfatto!

La parte di Venezia che ancora sopporto è la Giudecca, dalle Zitelle al Molino Stucky, e ancora più in là fino a Sacca Fisola. Non è ancora invasa dai turisti, è calma, tranquilla e si sente ancora parlare veneziano. L'Harris Bar è però gia arrivato qui con i suoi prezzi folli: baccalà mantecato con la polenta 48 euro.



Attraversare piazza S. Marco con la Venice Marathon ricorda il sabato di Lucca Comics. Non decidi tu dove andare, ma la folla!



La mostra delle foto delle Grandi Navi di Gianni Berengo Gardin è bella (anche se una riproduzione a maggior dimensione delle foto avrebbe reso MOLTO di più), ma ancora più bello è il negozio Olivetti in piazza San Marco che le ospita. Progettato da Scarpa è semplicemente perfetto.

venerdì 23 ottobre 2015

Hello


Il mondo si può sempre dividere in due parti: A e NON-A.
Ad es. ci sono quelli che aprezzano Adele (e quelli no).
Per i primi qui sotto c'è un nuovo brano della nostra beniamina.





Hello, it's me, I was wondering
If after all these years you'd like to meet to go over everything
They say that time's supposed to heal, yeah
But I ain't done much healing

Hello, can you hear me?
I'm in California dreaming about who we used to be
When we were younger and free
I've forgotten how it felt before the world fell at our feet

There's such a difference between us
And a million miles

Hello from the other side
I must've called a thousand times
To tell you I'm sorry, for everything that I've done
But when I call you never seem to be home

Hello from the outside
At least I can say that I've tried
To tell you I'm sorry, for breaking your heart
But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart anymore

Hello, how are you?
It's so typical of me to talk about myself, I'm sorry
I hope that you're well
Did you ever make it out of that town where nothing ever happened?

It's no secret
That the both of us are running out of time

So hello from the other side
I must've called a thousand times
To tell you I'm sorry, for everything that I've done
But when I call you never seem to be home

Hello from the outside
At least I can say that I've tried
To tell you I'm sorry, for breaking your heart
But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart anymore

Ooh, anymore
Ooh, anymore
Ooh, anymore
Anymore...

Hello from the other side
I must've called a thousand times
To tell you I'm sorry, for everything that I've done
But when I call you never seem to be home

Hello from the outside
At least I can say that I've tried
To tell you I'm sorry, for breaking your heart
But it don't matter, it clearly doesn't tear you apart anymore

lunedì 19 ottobre 2015

On the way



“It’s incredible how people find the strength needed to flee from war and violence, to get on a rickety boat or walk endlessly with their small children and then attempt to make a new life in another country,” Lorenzo Mattotti, the artist behind this week’s cover, “On the Way,” says. “It’s the epic story of our times,” he continues. “Nowadays, the Mediterranean Sea is too often a cemetery. To risk one’s life on a boat—that’s mad, but there’re also fantastic stories of people helping others. It’s always emotionally wrenching—I can’t believe what people are capable of, good or bad. In Europe, there’s no consensus on the response to refugees; it’s an enormous problem, and it affects all of us. It’s the story of our times.”


sabato 17 ottobre 2015

Utoya (un Rolex tatuato sulla schiena)

È il 22 luglio 2011, siamo in Norvegia. Anders Behring Breivik, ‘il mostro’, scatena l’inferno. Otto morti con un’autobomba a Oslo, un diversivo e poi il vero obiettivo: 69 ragazzi laburisti uccisi uno a uno nell’isola di Utøya, il ‘paradiso nordico’ sede storica dei campeggi estivi dei socialisti di tutto il mondo.
Avevo rimosso quei fatti. Perché? Leggevo il libro di Mariani e mi chiedevo come fosse stato possibile che avessi dimenticato una strage tanto grave avvenuta nel cuore di un'Europa in teoria in pace, in teoria unita. Avevo l'impressione che tutto fosse avvenuto molti anni fa e invece era il 2011, l'altro ieri, insomma. Perché avevo dimenticato?

Serena Sinigaglia


Ieri sera al Magnolfi di Prato sono stato tra i primi ad entrare in una piccola e deliziosa sala che sembrava un café-chantant di due secoli fa. Era una chicca. E il proscenio era magico con quei ceppi avvolti da una nebbia nordica. Insomma tutto mi ha predisposto favorevolmente ad uno spettacolo che è senz'altro stato tra i migliori a cui abbia ultimamente assistito. I due bravi attori del Teatro Ringhiera di Milano interpretavano tre diverse coppie nei giorni precedenti e seguenti a quelli della strage di Utøya.

Mi è capitato nei giorni scorsi di accennare a qualche mio amico che sarei andato a vedere uno spettacolo su Utoya e tutti mi gaurdavano con aria interrogativa domandandosi tra sè e sè di cosa mai stessi parlando. E la stessa aria stranita avevano gli attori ieri sera quando interpretavano la reazione dei norvegesi ad una strage islamica sul loro suolo nordico lontano anni-luce dal resto del mondo. Ma non era un attacco terrorstico di "altri". No!

Ma lo spettacolo non è politico, bensì molto intimo. Parla di noi e di come reagiamo a ciò di inaspettato e crudele e malvagio che ci può capitare. Ci sono personaggi odiosi (sicuramente due dei tre uomini) e ci sono donne più realiste e vere (con meno "castelli razionali" in testa e più attaccate alla vita).

È stato un bellissimo spettacolo che consiglio assolutamente ai miei 5 manzoniani lettori di andare a vedere prima del 25 ottobre (ultimo giorno di recita). Ne vale sicuramente la pena.



Il "norvegese" che apre e chiude lo spettacolo mi ha ricordato con affetto una coppia di amiche e il loro "norvegese".

martedì 13 ottobre 2015

Una tomba per le lucciole



I prossimi 10 e 11 novembre esce nei cinema italiani. Io l'ho già visto sul PC qualche anno fa (il film di Isao Takahata è del 1988 come Il mio vicino Totoro di Hayao Miyazaki) ma sicuramente andrò a rivederlo. Entrambi i film sono dello Studio Ghibli e può essere interessante una loro disamina fatta da Gualterio Cannarsi nel 2013 a Lucca Comics. Potete ascoltarla qui sotto. È veramente molto interessante scoprire le differenze tra i due registi. Ma è anche particolarmente interessante quanto si dice al minutaggio 03:45.

lunedì 12 ottobre 2015

Frankenstein fu concepito a Pisa?



La risposta è no, ma mi piace pensarlo.
E così piace anche a Gipi, ai Sacchi di Sabbia e a molti altri.

Ridley Scott si è rammollito



Ridley Scott si è rammollito.
Dopotutto ha i suoi 78 anni.
E non è più quello di Alien e di Blade Runner (e neppure di Thelma & Louise).

domenica 11 ottobre 2015

Minoranza del PD ridicola e penosa

Il professore Alberto Asor Rosa, icona degli intellettuali di sinistra, è stato il primo a usare la definizione di mutazione genetica nel linguaggio politico. Accadde nella Prima Repubblica, con il Psi di Bettino Craxi. Trent’anni dopo la stessa metafora scientifica accompagna, nella vulgata giornalistica, il Pd renziano nel suo grottesco viaggio verso la destra peggiore di questo Paese, quella degli ex berlusconiani Denis Verdini e Angelino Alfano, futuri inquilini o alleati del Partito del la nazione.

Professore, che cosa sta diventando il Pd di Renzi?
«Un partito nuovo che non ha più una base di massa, risponde al comando di un leader incontrastato e ha un gruppo dirigente conservatore di destra».

È una perfetta definizione accademica, senza fronzoli. Un partito di destra, nemmeno di centro.
«È un dato di fatto che l’attuale vertice del Pd ha escluso dal gruppo dirigente ogni erede della tradizione comunista, ma anche progressista o riformista. Sono tutti ex democristiani».

Una nuova Dc.
«No, perché ai vecchi democristiani non sarebbe mai venuto in mente di proclamare il Partito della nazione. L’obiettivo del PdN è l’ulteriore perfezionamento in termini di destra di questa tradizione centrista, che non ha ritegno a considerare interlocutori Alfano e Verdini».

Risultato: Verdini non è il mostro di Loch Ness (Renzi dixit) ma Marino sì.
«La liquidazione di Marino può essere annoverata tra le molteplici iniziative di Renzi e del renzismo di avere sull’Italia un controllo totale. Quando questo controllo non c’è si ricorre all’aggressività».

Marino ci ha messo del suo.
«Il sindaco di Roma non ha rivelato quella tempra di condottiero necessaria, ma non ho dubbi che abbia prevalso, contro di lui, una spinta eversiva e catastrofica proveniente da tante parti».

Com’è possibile che il Partito di Loch Ness nasca a sinistra, anziché a destra?
«La risposta è facile. Per mettere in moto questo processo occorreva che la forza trainante fosse una parvenza di sinistra dietro cui nascondersi, altrimenti ci sarebbe stato un coro di sghignazzamenti, se non di manifestazioni di piazza».

Quindi il berlusconismo è stato meno pericoloso del renzismo.
«Sì, “Silviuccio” non era in grado di elaborare culturalmente una simile invenzione. E politicamente la piazza glielo avrebbe impedito».

A Renzi no, invece.
«Può fare quello che sta facendo perché il Pd è mutato nelle sue radici e la mutazione genetica ha investito anche i suoi elettori. Non dimentichiamo che lui arriva dopo una sequela pluridecennale di fallimenti del centrosinistra e la gente ha pensato: “Almeno questo fa qualcosa”».

Il fatidico 40 per cento alle Europee.
«Renzi ha un consenso vasto anche se il punto culminante del suo successo è già alle nostre spalle».

All’orizzonte c’è però l’autoritarismo della nuova Costituzione.
«Qualsiasi atto del presidente del Consiglio mira al restringimento della democrazia, in termini di spazi e di base del consenso. Contano solo i vertici del potere, dalle rappresentanze politiche al preside-manager della scuola. Per renzismo, intendo questo».

Combattere il renzismo dall’interno del Pd non sembra possibile.
Sulla minoranza del Pd, in questi giorni, mi sono venute in mente solo due parole».

Quali?
«Ridicola e penosa. Ridicola perché ha fatto ridere la battaglia su alcuni particolari della riforma Boschi. Penosa perché il risultato ha dimostrato che la minoranza non conta nulla. Poi ha superato anche il limite etico-politico perché non si è vergognata di votare con Verdini».

Fuori dal Pd c’è un deserto a sinistra?
«Deserto mi pare eccessivo. Ci sono tanti pezzetti sparsi ma non c’è nessuno in grado di convogliare queste forze verso la stessa direzione».

Un effetto collaterale della mutazione genetica?
«Dalla crisi dei grandi partiti di massa nati dall’antifascismo e dalla Resistenza non c’è stata nessuna vera scintilla».

Come si qualifica una mutazione?
«Quando cambiano natura, vocazione e cultura».

Nel Pd renziano?
«Si parte dall’idea che i conflitti sociali siano dannosi per cui i sindacati diventano il nemici. Così la cultura della nazione impone una ratio comune che è quella del grande capitale e della grande finanza. Il terzo punto è il restringimento della democrazia. Il Partito della nazione, sviluppato sino in fondo, comprenderà anche Berlusconi e i berlusconiani, non solo Verdini e Alfano».

sabato 10 ottobre 2015

Le grandi navi



Quando ho visto questo scorcio oggi a Firenze ho voluto subito fotografarlo, senza capire bene il perché.

Solo adesso, ragionandoci con calma, mi sono reso conto del perché.

Mi ricorda uno scorcio simile a Venezia, immortalato da Gianni Berengo Gardin.

domenica 4 ottobre 2015

Mareggiata



La spiaggia quel giorno era battuta da un vento forte. La sabbia veniva trascinata via, leggera.

I cavalloni si fracassavano uno sopra l’altro, inseguendosi senza tregua. Un cielo basso, scuro, squarciato a tratti da baluginii, preannunciava pioggia.

Respiravo voluttuosamente l’aria fresca di salmastro, osservavo con avidità il paesaggio scosso e disuguale. Lungo la riva, ad intervalli, la straccaglia si raccoglieva in mucchi disordinati. Conchiglie perlacee e pezzi di legno lavorati sapientemente dal mare, trasportati dalla furia.

Improvvisamente ti ho scorto. Di spalle, i capelli bruni ondeggianti, una sacca di traverso, raccoglievi con cura materiale per le tue collezioni.

A tratti l’acqua ti lambiva i piedi ma tu procedevi come altre volte, noncurante.

Sorridevi. E il tuo viso era rischiarato dal riverbero, da quell’aria strana, serenamente tempestosa e spettrale.

Una sera qualsiasi, ora crepuscolare, di inizio primavera.

L’orizzonte prometteva qualcosa di imminente. Grosse gocce iniziarono a cadere ma io rimasi a guardarti, poco distante.

Desideravo avvicinarmi, rivedere quel sorriso che ti illuminava gli occhi. In modo così speciale.

“Mi sono innamorato di questa donna perché…..beh, ci sono tanti motivi affinché questo accada.

Intanto la sua solarità, che è una forma di bellezza.

Certo, la sua bellezza. Alta, gli occhi castani quasi sempre brillanti di entusiasmo e un sorriso incredibile.

Un corpo snello e lunghi capelli neri che si posano in riccioli sulle spalle.

E una bella testa, interessante.

Quando l’ho conosciuta amava molto i libri ed era sempre pronta allo scherzo. Amava molto la gente. E parlare.

Era attiva politicamente. Insomma, tutto il contrario di me. Io non amo molto mischiarmi alle cose e alle persone. Sono un solitario.

Non voglio dipendere da niente e da nessuno, non mi interessa esternare l’amore che provo per questa o quella idea.

E anche a lei non dicevo più di tanto. Potrebbe aver letto nei miei occhi, anzi sicuramente non avrà avuto problemi a farlo.

Nei miei occhi ha visto tutto quello che c’era da vedere.

Ammirazione, rispetto, desiderio, considerazione, amore…….e la sua immagine riflessa. Quella vera. Quella che mi rimandava lei. Di una semplicità sconcertante.

Non è mai stata facile alle lacrime e anche questa cosa ho apprezzato in lei. Inoltre non si scoraggiava facilmente di fronte alle difficoltà. E pure questo, inutile dirlo è un punto a suo favore. Penso che la frivolezza non abbia fatto mai parte della sua vita, neppure prima che la conoscessi.

Ci siamo conosciuti per caso. Un viaggio in comune, sul treno. In mezzo a tante persone. La sua borsa è caduta a terra e io mi sono chinato a raccoglierla. Lei mi ha ringraziato con un sorriso e io non ho capito più nulla. È così, non mi vergogno a dirlo. Ora. Non glielo ho mai detto ma credo sia stato abbastanza evidente. Penso che l’abbia capito a suo tempo. Un sorriso che conquistava in secondi, perché a sorridere nonn era soltanto la bocca ma tutto il viso. E gli occhi. Sotto gli occhi si formano delle pieghe sottili che tutte le volte mi fregano. E anche quella volta lì. Ho cercato con garbo di trovare un argomento e prolungare la conversazione, guardandola negli occhi. E lei non ha obiettato. Mi ha parlato con entusiasmo del viaggio che aveva intrapreso e dell’appuntamento che aveva con certi amici, una volta vicino al confine, per proseguire assieme a loro in macchina. Un viaggio di venti giorni in tutto: Tra Francia e Spagna. Dove avrebbe trascorso la maggior parte del tempo. Aveva gli occhi sognanti……sì, sognanti. Ed era uno spettacolo bellissimo. Era vestita da viaggio, una camicia lunga, una giacca di cotone scura e un paio di jeans. E quel viso da sballo. Lievemente abbronzato, e aperto, cordiale. Privo di trucco. Una donna vera.

Sarà per questo che sono qui oggi. E tutti i prossimi giorni. Davanti a questa foto dove la pioggia frequente da queste parti batte spesso, vivace. E il sole getta i suoi raggi più focosi. Qui, in aperta campagna dove in inverno le mattine sono bianche di brina e in estate la calura è assordante. Dove neppure i quaranta gradi dell’agosto appena trascorso mi tengono lontano. Dove i fiori appassiscono e ne porto ogni giorno. Ogni giorno. Di nuovi, di seta, di grandi, di campo. Quelli che preferiva lei. Arrivo qua in bici, le nostre canzoni preferite nelle orecchie diffuse dagli auricolari. E il suo sorriso in mente. Un sorriso che conquistava in secondi, perché a sorridere non era soltanto la bocca ma tutto il viso. E gli occhi. Sotto gli occhi si formano delle pieghe sottili che tutte le volte mi fregano…….”.

Rimasi dove mi trovavo, invece. Ora pioveva decisamente forte ma tu continuavi a camminare lungo la riva. Gustandoti quel momento, intensamente. Amavi la pioggia, il tempo scuro, il mare spumeggiante bufera.

Il vento non mi dava tregua. Portava con sé la commozione che segnava il mio viso, strapazzato dal sale. Ma era necessario tornare qui. Trovare con fortuna estrema un giorno come questo.

Gelido, grigio, col mare urlante di gioia rabbiosa. E vita. Nello stesso tempo.

Perché tu eri vita. E te ne stavi lì, priva del colore di un addio.

Il tuo sorriso entusiasta, lo sguardo sognante. Perso. Nelle ombre della sera.

(Maria Beatrice Berti)

sabato 3 ottobre 2015

Se Venezia muore

Nella traduzione in francese e tedesco del suo ultimo libro «Se Venezia muore» Salvatore Settis ha cambiato la copertina. E ci ha messo una delle immagini del suo amico Berengo Gardin sulle grandi navi che passano a poche decine di metri dal palazzo Ducale. «Vediamo se il sindaco Brugnaro riuscirà a vietarne la vendita nelle librerie», ha scritto a un amico.



In tre modi muoiono le città.

Quando le distrugge un nemico spietato (come Cartagine, rasa al suolo da Roma nel 146 a.C.);

Quando un popolo straniero vi si insedia con la forza, scacciando gli autoctoni e i loro dèi (come Tenochtitlán, la capitale degli Aztechi che i conquistadores spagnoli annientarono nel 1521 per costruire sulle sue rovine Città del Messico);

O infine, quando gli abitanti perdono la memoria di se stessi, e senza nemmeno accorgersene diventano stranieri per se stessi, nemici di se stessi.

Questo fu il caso di Atene, che dopo la gloria della polis classica, dopo i marmi del Partenone, le sculture di Fidia e le vicende della cultura e della storia segnate da nomi come Eschilo, Sofocle, Euripide, Pericle, Demostene, Prassitele, perse prima l’indipendenza politica (sotto i Macedoni e poi sotto i Romani) e più tardi l’autonomia culturale, ma finì col perdere anche ogni memoria di se stessa. Noi spesso, travolti da un facile classicismo di scuola, la pensiamo immobile per secoli nel biancore dei suoi marmi e rifiorita a nuovo splendore con l’indipendenza politica della Grecia nel 1827.

Ma non è così: quando verso la fine del XII secolo il dottissimo Michele Choniate, che veniva da Costantinopoli, divenne vescovo di Atene, restò sbalordito davanti alla terribile ignoranza degli Ateniesi, che non sapevano più nulla delle glorie antiche della propria città, non sapevano più dire ai forestieri che cosa fossero i templi ancora intatti, né sapevano più indicare dove avessero insegnato Socrate, Platone, Aristotele.

Se mai Venezia dovesse morire, non sarà per invasioni nemiche né per l’irruzione di un nuovo popolo. Sarà soprattutto per oblio di se stessa. Oblio di sé, per una comunità del nostro tempo, non vuol dire soltanto dimenticanza della propria storia e delle glorie e sconfitte del passato. Vuol dire anche la mancata consapevolezza di qualcosa che è sempre più evidente e necessario: il ruolo specifico di ogni città rispetto alle altre, la sua unicità e diversità, virtù che nessuna città al mondo possiede quanto Venezia. Sono virtù non solo preziose, ma necessarie in un mondo in cui l’antica dimensione urbana è stata non solo amplificata a dismisura ma stravolta dalla crescita di enormi megalopoli, formicai umani dove in nome della produttività vengono ammassate decine di milioni di uomini, spesso condannati a condizioni e ritmi di vita che nulla hanno a che fare con il senso e lo spirito della città, massima creazione culturale del genere umano, quale venne formandosi attraverso millennii di storia.

venerdì 2 ottobre 2015

Gli orsi e le donne



Ecco cosa succede quando una donna spruzza spray urticante verso un orso.
L'orso (anche se non è polite) ha tutta la mia più completa solidarietà.